Piero Brizzi
Uno dei fautori del Palio della Ripresa
«Il Palio è come il “cacciucco”. Hai mai visto un “cacciucco” che contiene pesci pregiati? No, non sarebbe autentico. Per cucinarlo ci vogliono pesci che costano poco. E deve essere piccante, molto piccante. Ecco, così è il Palio Marinaro. Un qualcosa che appartiene al popolo e che deve tornare al Popolo». A quarant’anni da quando raccolse la sfida lanciata dall’Enal e allestì il primo Palio del dopoguerra, Piero Brizzi non ha perso un briciolo della sua grinta. Per lui il Palio è tanto, tantissimo, e questo lo si capisce quando ne parla, quando si sofferma sui tempi passati della manifestazione livornese più autentica.
«Se il Palio deve essere fatto così, come adesso, meglio non farne di niente. E’ una manifestazione senz’anima, destinata irrimediabilmente a decadere. Io il Palio l’ho organizzato dal ’51 fino al ’64. Poi, l’anno seguente, decisi di mollare e nel ’67 subentrò il Comune passando all’istituzionalizzazione della gara». Un’operazione, quest’ultima, che Piero Brizzi mostra di non vedere di buon occhio. «La giudico negativa sicuramente – afferma – perché di fatto, l’entrata in gioco del Comune, ha privato la gente di una consapevolezza, ha tolto al Palio quella forza di popolo che lo rendeva unico nel suo genere. Ricordo che quando le consulte popolari si riunivano, eleggendo me a rappresentarle, alcuni erano soliti dirmi: “Sei tu il nostro capo, devi difenderci”. E la risposta mia era sempre la stessa, e cioè che io non ero il capo di nessuno, che capi eravamo tutti o nessuno allo stesso tempo. Così la gente si rendeva conto della propria importanza. Ma adesso questi valori si sono persi».
Un giudizio tutt’altro che tenero insomma nei confronti del Palio edizione moderna. Ma quale rimedio è possibile trovare per rilanciarlo? «Semplice – afferma Brizzi – basterebbe restituire il Palio alla gente che l’ha creato. Rifondiamo le consulte popolari, quelle si che erano autentiche scuole di democrazia. Oggi alcuni personaggi vengono da me e mi dicono: “avrei bisogno di uno che seguisse il mio equipaggio, sai mica dove posso trovarlo?”. Magari poi la gente del rione non sa neanche che quell’armo prende parte al Palio. E non è così che queste manifestazioni possono sopravvivere».
Ma Piero Brizzi non è soltanto un uomo di azione nel Palio. Parla molto volentieri, anzi, della teoria del Palio Marinaro, un qualcosa che secondo lui rappresenta “una necessità” per Livorno. «Ogni manifestazione – prosegue – ha radici storiche. Noi non abbiamo guerre da ricordare o battaglie da commemorare, ma soltanto da tenere presente una sfida che la città lancia ogni giorno al mare ormai da secoli. E’ questo lo spirito marinaro livornese. Potremmo anche considerarlo come rito propiziatorio nei confronti del mare, allo stesso tempo nemico e amico della città. L’esigenza di sfidarlo è sempre stata sentita nel passato. A me fanno ridere quei rinvii delle gare perché il mare è troppo mosso. Altrimenti, che sfida sarebbe? Dove andrebbe a finire lo spirito degli “Arrisicatori” col mare che è una tavola?».
E a questo proposito Brizzi cita una frase del Guerrazzi, quando nel suo diario scritto in carcere, ricorda il Palio da lui organizzato a Livorno al fine di riunire la città attorno ad una manifestazione in grado di coinvolgere la gente. “Quel giorno – scrisse Guerrazzi – non ci scappò neanche il solito morto”. Il Palio oggi è tutta un’altra cosa insomma. Che, per fortuna, non arriva agli eccessi dei secoli passati ma che, secondo Brizzi, qualcosa dal passato dovrebbe ripescare.
«Il Comune dovrebbe pensare soltanto a finanziarlo il Palio. Poi, la gara andrebbe svuotata dai suoi aspetti burocratici che la sottraggono al popolo. Per questo si erano battuti i padri del Palio moderno e i suoi luogotenenti. Vuoi alcuni nomi? Eccoli: “Cencio” Volpi, del Venezia, Tonino Chiesa, di Borgo, Tito Neri, il commendatore, il più generoso con chi si dava da fare per il Palio. Ma anche Alfredo Casali, titolare del caffè di Piazza Cavallotti. Lo chiamavano il “sindaco” nero del rione Mercato, perché quando lui dava un ordine, tutti gli abitanti del rione lo eseguivano ciecamente».
Un popolo che non conosceva autorità, un popolo che rispettava pienamente la tradizione un po’ anarcoide dei livornesi, un popolo che però, nelle consulte popolari, si riconosceva davvero. «Esatto – commenta Brizzi – e soprattutto, niente burocrazia. A volte rimproveravano le consulte di essere monopolizzate dai comunisti. Tutte storie: ad Antignano c’era un monarchico, a san Jacopo un democristiano, ad Ardenza un repubblicano. C’erano anche alcuni comunisti, anche se erano di più i socialisti. Un tentativo da effettuare nuovamente. Con l’aiuto di tutte le forze politiche e sociali, per sburocratizzare il Palio e restituirlo alla gente. Solo così potremo salvarlo”.
Articolo di Luciano De Majo 1991