La storia
LA COPPA BARONTINI: CINQUANT’ANNI DI STORIA LIVORNESE
Cinquant’anni di storia, cinquant’anni di passione e forte impegno, di incredibili difficoltà da superare per gli organizzatori e le “cantine”, protagonisti in assoluto di quello che oggi è un mito, la Coppa Barontini. Una manifestazione che da sempre possiede un fascino unico, specialmente di notte, quando la folla e la fantasmagoria delle luci, i palazzi che si specchiano nelle acque illuminate, creando un’atmosfera quasi trascendente, capace di trasformarsi nell’incredibile magia di un ritorno fiabesco al passato, quando Livorno era la “Ricca Città delle Nazioni” e i Medici, governanti illuminati, come lo furono, successivamente, i Lorena.
Cinquant’anni di Coppa Barontini e il pensiero corre a quei tempi lontani, quando gli ideali erano una certezza nei nostri cuori e l’inventiva nasceva dagli stimoli che proiettavano la speranza in una dimensione nella quale il mondo progrediva nella libertà, nella giustizia sociale e nel benessere dei popoli. Da quegli ideali e quegli stimoli nacque il desiderio di ricordare e onorare la vita e le imprese di Ilio “Dario” Barontini, compagno comunista che aveva combattuto in tutto il mondo contro le dittature. Forte delle immense esperienze acquisite nella sua lunga battaglia militare e politica, Ilio Barontini era animato dalla volontà, mai venuta meno, di unire in collaborazione costruttiva, tutte le forze politiche della Resistenza: a Roma per la trasformazione del paese, a Livorno, per ricostruire la città distrutta dai bombardamenti dei B 52 dell’ Usa Air Force e battersi per le parole d’ordine di quegli anni che erano: casa, pane e lavoro.
La sua scomparsa, in un misterioso incidente alle porte di Firenze, insieme a Leonardo Leonardi e Otello Frangioni, dirigenti del Partito, lasciò nei militanti parecchi dubbi, ma fece nascere la sua leggenda. La manifestazione organizzata per onorarne la figura e la memoria, grazie a dirigenti illuminati del Pci, è diventata col tempo, un momento unitario che unisce gli sforzi di uomini provenienti da diverse esperienze, sociali, politiche e anche religiose.
L’idea di ricordare e onorare la memoria di questo moderno combattente risorgimentale, organizzando una gara remiera, ormai lo sanno tutti, ma è bene ribadirlo, nacque fra le mura della sezione Pci “San Marco Pontino”, guidata dal segretario Renato Tedeschi. Una sezione che con quella di Shanghai, era il più popolare centro di vita politica e associativa della nostra città. Anche sull’insistenza di Bruno Tani, l’indimenticabile “Musata” che dalla sua bottega di barbiere (quanti barbieri nella storia del Pci livornese!), dominava l’intero quartiere e sapeva vita, morte e miracoli di ognuno dei “pontinesi”.
Fu “Musata” a seppellire di parole il suo segretario che alla fine acconsentì e si mise in moto. Pensarono ad una gara a cronometro di gozzi e gozzette, forse non si rendevano ancora conto della magia che sarebbe nata da questa idea, una magia che avrebbe unito una manifestazione moderna alle più antiche tradizioni della nostra città e avrebbe richiamato spettatori a decine di migliaia, fino alla cinquantesima edizione di quest’anno e, sicuramente, anche oltre, almeno fino a quando rimarrà viva la passione che unì alle cantine tutte, uomini come “Musata”, Renato Tedeschi, Mauro Nocchi e presidenti come Marzino Macchi, Gino Corradi, Gino Calderini, Vittorio Cioni e l’attuale presidente Massimiliano Talini. Da non dimenticare il gruppo dei volontari, guidati da Mauro Raugi, detto il “Cinese” o collaboratori come Luciano De Majo e Mauro Nocchi che, con ammirabile abnegazione, hanno impegnato i loro anni nella macchina organizzativa di questa splendida manifestazione. Se continueranno ad esistere uomini come questi, capaci di mantenere inalterato il loro impegno e la loro fede in un mondo migliore, la vita della Coppa Barontini sarà sicuramente lunga e saranno altri ancora a scrivere i decenni che verranno.
Questa storia affascinante è strettamente legata ai nostri “fossi” e alle cantine che vi si affacciano, ieri magazzini delle merci che arrivavano o partivano da un porto in continua espansione. Parlando di questa manifestazione carica di magia e di reminiscenze, la mente viaggia lungo i secoli e materializza in se il tempo della bellezza di questa nostra Livorno, nata da un villaggio di pescatori che l’interramento del Porto Pisano, spinse i Medici a trasformare in una magnifica città porto, laddove affluirono, a popolarla, genti provenienti da tutto il mondo che dettero vita ad un popolo completamente diverso dalla “gens toscana” e italiana, con caratterialità incredibili di generosità, impulsività, sommo senso dell’umorismo, ribellione contro qualsiasi sopruso, tenacia e anche parecchio ingegno. A creare tutto questo furono le leggi dette “Livornine” che, vale qui la pena di ripeterlo, favorirono l’afflusso di genti spesso completamente diverse che, senza alcuna conflittualità, dettero vita ad una città cosmopolita, colta, industriosa e colma di fermenti libertari, da una parte e religiosi dall’altra, città di eroi risorgimentali e di santi.
Gli organizzatori della Coppa Barontini, forse all’inizio, non si resero conto di quanto fosse indovinata e fortunata, la scelta di una gara a cronometro nel cosiddetto Pentagono del Buontalenti. Avevano scelto una cornice magnifica che avrebbe caricato di magia l’intero percorso di quel nucleo di Livorno che ancora oggi toglie il fiato a chi, su qualsiasi battello, ne visita l’intero perimetro, specialmente in certe notti di stelle e luna piena. Sulla bellezza di quella rete di “vie d’acqua”, dove transitavano lentamente maestosi i navicelli, quei neri barconi coperti di pece che trasportavano le merci preziose che avevano reso grande il nostro porto, oggi ci sono barche e yacht di ogni stile e grandezza, portatori di notevole inquinamento che rende sempre più torbido il colore delle acque dei nostri “fossi” laddove una vita fa i nostri padri e qualcuno di noi si tuffavano felici e riuscivano anche a pescare pesci prelibati, anguille e ghiozzi.
Percorrere il perimetro della città disegnata dal grande architetto fiorentino e individuare gli elementi storici che ancora vi permangono, spesso anch’essi investiti dal degrado, fa comprendere la caratterizzazione storica di questo segmento centrale della nostra città che ha sempre avuto una importanza determinante nello scorrere del tempo. Certo, Bernardo Buontalenti mise al primo posto l’interesse militare delle fortificazioni rispetto alla “città civile”, ma l’incremento demografico voluto da Ferdinando I con le leggi “Livornine”, impose la formulazione di un tracciato urbano che tenesse in gran conto la realizzazione del porto e delle nuove strutture sia pubbliche che private, tra cui appunto i fossi realizzati sotto la direzione di Alessandro Pieroni (quello della splendida “loggia” di piazza Grande) e Claudio Cogorano. E infatti, solo venticinque anni dopo, si affermò la necessità di allargare lo spazio edificabile per rispondere all’impetuosa crescita demografica. Fu così che parte della Fortezza Nuova venne demolita per consentire una ulteriore crescita della Venezia che significò anche una espansione urbana extra pentagono. Il cuore della città registrò chiaramente la crescita della classe mercantile, del porto e dei traffici, aumentando la necessità di strutture architettoniche a diretto contatto con le vie d’acqua: i magazzini per il deposito delle merci nel quartiere della Venezia, realizzati su tre livelli comunicanti, a pelo d’acqua, sugli scali e sul piano stradale. Anche la cantina dove ha sede la Coppa Barontini era in origine strutturata così.
La strada e i fossi, rappresentano una caratteristica che ha attirato, come già detto, l’attenzione dei viaggiatori e degli artisti, lo dimostrano le innumerevoli incisioni di grandi autori che mostrano aspetti precipui della quotidianità labronica vissuta intorno e sui fossi: facchini del porto in attesa della “chiama”, seduti sul ponte della Venezia, navicellai e barcaioli, pescatori, persone che passeggiano, spesso con ombrellini per ripararsi dal sole, donne del popolo impegnate negli atti semplici e molto complessi della loro vita quotidiana e anche qualche gara remiera, forse il primo Palio Marinaro della città, detto “delle oche””, che si dice si svolgesse sul Fosse Reale, dal “Ponte buio” alla Fortezza Vecchia nell’Anno Domini 1606, alla presenza del Granduca Ferdinando I.
Nel tracciato della Coppa Ilio Barontini, gozzi e gozzette percorrono le acque della fortuna di questa città e dopo la partenza dalla Darsena della Fortezza Nuova, imboccano la “strettoia” e penetrano nello scenario della nostra “città sull’acqua”, transitando sotto i ponti, suoperano la chiesa di Santa Caterina, i “Domeni’ani” come la chiamano i livornesi, e poi il Palazzo del Refugio, Palazzo Rosciano e sulla sinistra lo scorcio del fosso dove sorge Palazzo Finocchietti, raggiungono Il ponte di Santa Trinita, costeggiano la maestosa Fortezza Vecchia, s’infilano sotto il ponte dell’Arsenale, quindi il Ponte Novo e imboccano il Fosso Reale dove, transitando davanti al maestoso Palazzo Maurogorgato e agli altri palazzi ottocenteschi, spesso s’incontrano correnti sotterranee che donano la vittoria o la sconfitta. Sorpassato il verde di Piazza Manin e il ponte di piazza Cavour, le ciurme, o come vuole la lingua italiana, gli equipaggi costeggiano lo splendore del Mercato Centrale e delle scuole Benci, sorpassano il ponte di Modigliani (laddove furono trovate le false teste di del grande pittore), quindi l’entrata sotto il “Ponte buio”, sottostante il “Vortone” (piazza della Repubblica), per aprirsi alla gloria della Darsena di Fortezza Nuova, dove gli equipaggi si impegnano nell’ultimo serrate prima del traguardo posto davanti alla cantina del “Pontino San Marco”, laddove vengono salutati da una folla straripante accalcata in ogni angolo dello splendido anfiteatro.
Su questo scenario, ecco cosa scrisse l’indimenticabile amico Luciano De Majo, appassionato membro del Comitato organizzatore e noto giornalista de il Tirreno, in occasione della quarantesima edizione della Coppa Barontini : “Quando escono stremati dal Ponte buio, quelli che spingono i remi hanno un solo alleato: le sciabolate di luce delle torri faro che si riflettono nelle acque dei fossi del Pontino e che fanno intravedere l’arrivo. La Barontini, a quel punto, è quasi finita, perché il ricordo della strettoia della Fortezza, pochi metri dopo la partenza, è ormai svanito. Eppure, finita non è: ci sono ancora energie da trovare chissà dove, gocce di sudore da spendere fino all’ultimo istante, perché possono essere quelli i centesimi che ti danno la vittoria, togliendola al rione tuo nemico che potrai prendere in giro per un anno intero o anche solo per pochi giorni. Le luci che si accendono sull’anello del Buontalenti, per una sera, illuminano una Livorno diversa. Tutta intenta a guardare quelle barche che filano veloci sull’acqua, mentre i fossi medicei, senza le barche parcheggiate, sono così belli che sembra davvero un’altra città. Un’edizione dopo l’altra, come fosse in azione uno strumento automatico, ma non è proprio così, perché l’impegno della “gente” che opera al servizio di questo annuale evento, a volte supera davvero le attività per così dire, ordinarie. Ogni edizione, ci sembra giusto tornare a sottolinearlo, si svolge grazie all’appassionato e appassionante lavoro di un Comitato organizzatore e di alcune decine di volontari che per mesi e, alla fine, per giorni e giorni intensi, si impegnano in un lavoro impagabile per la sua complessità e la necessità di far funzionare gli “ingranaggi” come fossero quelli di un orologio svizzero”.
LA PRIMA COPPA BARONTINI
La prima edizione della Coppa Barontini si svolse in uno scenario davvero fantastico, unico, con la folla assiepata nell’anfiteatro naturale degli Scali delle Cantine, dominati dalla mole massiccia e magnifica della Fortezza Nuova con la cuspide verde delle alte piante. Quanta fatica, però, per arrivare alla gara e onorare un grande livornese!
L’Enal, in quei lontani anni, era un organismo legato al partito dominante e, “più realista del re”, si chiuse a riccio alla richiesta dei gozzi dei quali era proprietaria, usati soltanto per il Palio Marinaro. Prestare i gozzi ai comunisti? Un’eresia. Onorare la vita, le imprese e la memoria di un comunista? Non sia mai detto! Chi ha conosciuto e conosce Renato Tedeschi, allora, come già detto, segretario della sezione Pci San Marco Pontino, sa bene di quanta intelligenza e di quale carattere fosse dotato e nessuno si meravigliò quando “Renatino”, presa carta e penna, per scrivere al presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, nemico giurato dei comunisti. Gli spiegò della gara dedicata al “costituente” Ilio Barontini che lui conosceva bene già prima della Liberazione del paese dai nazifascisti e anch’egli, “padre” della Costituzione. Il fondatore del partito socialdemocratico, forse per un nascosto senso di solidarietà creatosi fra coloro che combatterono il fascismo, ordinò alla prefettura di mettersi a disposizione degli organizzatori e all’Enal di concedere i gozzi. Fu un autentico colpo di teatro, visto che l’Enal si arrese immediatamente e si mise addirittura a disposizione di “Renatino” e degli altri compagni, garantendo anche il servizio d’ordine.
La Coppa Barontini irruppe quindi nel panorama remiero livornese con grande veemenza. La novità di una gara remiera a cronometro fece infatti centro al primo colpo, attirando lungo il percorso oltre trentamila persone. Il fato volle metterci lo zampino, il sorteggio per stabilire l’ordine di partenza stabilì che primo a partire fosse il Pontino San Marco, il rione di casa, già vincitore del Palio Marinaro di quattro domeniche prima. Il dieci giallorosso, formato da Bitossi, Sonetti, Lonzi, Baldi, Mancini, Corradino, Mattei, Luschi, Mataresi, Sansoni e ”Ghighe” Langella come timoniere, si impose con decisione e fu l’unico a terminare la gara scendendo sotto i 16 minuti. Il suo 15′ 54” 4 bastò per festeggiare la vittoria. Dopo il Pontino partirono nell’ordine Centro Mercato, Borgo cappuccini, Colline, Shangay, Ardenza, Venezia e San Jacopo. I biancoazzurri del Colline ebbero un incidente in partenza, rompendo uno dei dieci remi. Ma anzichè arrendersi, andarono avanti in nove fino alla conclusione. Anche il San Jacopo incappò in un inconveniente: rotto lo scalmo del primo remo, l’armo biancoverde procedette a zig-zag fino all’arrivo, rimediando l’ultima posizione. L’unico a competere fu l’equipaggio del Borgo, distaccato comunque di quasi 9”.
Tutto quindi andò per il meglio, anzi, nonostante le difficoltà frapposte dalla squadra politica della polizia, sui fossi si svolse anche una sfilata di barche per esprimere la solidarietà dei livornesi al popolo vietnamita, contro la spietata guerra degli Stati Uniti. Quel giorno fu un trionfo di popolo che premiò il gruppo dei comunisti livornesi e le iniziative politiche, sociali e di solidarietà di cui si facevano promotori.
GLI ANNI SUCCESSIVI
Nel 1983, quando ormai la gara era già entrata nel cuore dei livornesi, il Comitato Organizzatore decise, per spettacolarizzare l’evento e renderlo più fruibile durante la calda estate livornese, di far disputare per la prima volta la Coppa Barontini in notturna. L’esperimento, grazie all’impianto di illuminazione messo a disposizione della Compagnia Lavoratori Portuali, riuscì talmente bene che da allora la gara si disputa sempre dopo il tramonto. Gli spettatori di quella edizione, in cui vinse l’armo del Venezia, assieparono a migliaia le spallette lungo il percorso dei fossi.
Fino al 1991, la Coppa Barontini appartenne alla vasta gamma di iniziative che il Partito Comunista sviluppava con notevoli capacità organizzative e propagandistiche. La città viveva quegli anni una vivacità culturale senza precedenti, la Casa della Cultura, nel centrale “Cisternino” del Poccianti, promuoveva l’arte in tutte le sue forme, mentre sul piano socioeconomico l’industria di stato (su tutti il Cantiere Navale Fratelli Orlando, la fabbrica per antonomasia della città) creava lavoro e prosperità e il porto registrava una ripartenza in fatto di traffici e in progettualità. La città ricostruita, con lo sviluppo dei quartieri popolari, aveva permesso di dare una casa a coloro che l’avevano persa nel corso della guerra e sembrava svilupparsi su binari che mostravano un futuro, anche idealmente, roseo.
Oggi, grazie al successo di pubblico che registra ogni anno e grazie alla passione dei suoi organizzatori, nei cui cuori sono ancora vivi i valori a cui si sono ispirati i suoi fondatori, la Coppa Barontini è sopravvissuta sia allo scioglimento del vecchio Pci che alla crisi economica che attanaglia Livorno e il suo porto ed è ormai diventata a tutti gli effetti un patrimonio storico e culturale di tutta città.
ILIO BARONTINI
Ilio Barontini, il cui nome di battaglia era Dario, non fu nè un vogatore nè uno sportivo praticante ma uno di quegli uomini che fecero la storia del movimento operaio e democratico, non solo della nostra città ma in tutto il paese. A Livorno fu segretario della Federazione del Partito Comunista Italiano, prima e dopo il ventennio fascista, consigliere comunale prima dell’avvento fascista e dopo la liberazione, e, soprattutto, membro dell’Assemblea Costituente che emanò la Costituzione Repubblicana e Senatore della Repubblica fino alla morte, avvenuta tragicamente il 22 gennaio 1951 in un tragico incidente stradale alla periferia di Firenze.
Insieme ad Antonio Gramsci, Barontini fu inoltre il principale organizzatore del Congresso di fondazione del P.C.I. del 1921, che ebbe luogo al Teatro San Marco di Livorno.
Figura popolare, prestigiosa e rispettata da amici e avversari, ancora oggi impressa nel ricordo di quanti furono testimoni e protagonisti delle lunga ed eroica vicenda politica e civile della nostra città e del nostro paese. Ilio, che era un ferroviere, rappresentò al meglio il carattere dei comunisti livornesi in quel periodo storico: spirito critico e battagliero, anticonformismo, determinazione, coraggio.
Durante l’esilio a cui fu costretto dalle persecuzioni fasciste, Ilio Barontini fece anche parte del movimento antifascista francese e non esitò a recarsi in Abissinia per combattere alla guida dell’esercito nazionale contro l’aggressione mussoliniana.
Combattè inoltre in Spagna con Luigi Longo e Giuseppe Di Vittorio a difesa della Repubblica, infliggendo ai fascisti una bruciante sconfitta a Guadalajara alla testa delle Brigate Internazionali.
Fondò e diresse nel centronord d’Italia i Gruppi di Azione Patriottica (i G.A.P.) e marciò alla testa dei suoi partigiani alla liberazione di Bologna che lo insignì della cittadinanza onoraria. Sfilò con Longo, Cadorna, Parri e Mattei alla testa del corteo che a Milano, che sancì la vittoria della guerra di liberazione nazionale e fu insignito dal generale Alexander, comandante della 5ªArmata, con la Bronz Star al termine della Seconda Guerra Mondiale.
Una figura leggendaria, quindi, che onora Livorno. Ecco perchè dedicare a lui la più spettacolare gara remiera livornese spinge l’evento ben oltre i confini del pur importante fatto sportivo.