Gino Benetti
Riposa per l’eternità sul campo di regata del Palio
Le ceneri di Gino Benetti, (l’articolo è del 2012) storico dirigente dell’Ovo Sodo e del Palio Marinaro, sono state disperse in mare assieme ad una rosa rossa ed ai colori bianco e giallo, al largo della Terrazza Mascagni dalla moglie Anna Maria, accompagnata dai dirigenti e dai vogatori del Benci-Centro. Il corteo di barche era partito dalla cantina che guarda il Voltone verso le nove di un mattino di sole percorrendo gli Scali degli Olandesi e gli Scali D’Azeglio verso la Darsena Vecchia per raggiungere il luogo prescelto per la dispersione delle ceneri. Un tragitto che ha visto tante volte l’Ovo Sodo percorrerlo a ritroso per andare a trionfare nelle gare remiere. Gino è morto per colpa dell’amianto nei polmoni accumulato in tanti anni di lavoro come idraulico.
Impegnato fin da giovanissimo in politica era popolarissimo nel rione dell’Origine. Era stato per molti anni dirigente della sezione Centro del PCI e consigliere di quella che era stata la Circoscrizione 5. Lo specchio d’acqua dove riposano le sue ceneri è quello del Palio Marinaro vicino alla boa 8 e i dirigenti dell’Ovo Sodo sono pronti a giurare che Gino sarà ancora lì in tutti gli anni da venire a fare il tifo per l’armo bianco-giallo, come sempre… Fin qui la cronaca dei giornali, ma per saperne di più ci siamo rivolti a Sergio Marconi, dirigente storico dell’Ovo Sodo, al figlio di Dino, Massimo e a quello che fu il suo amico più fidato, quell’Ivano Lucchesi che è stato presidente del Palio Marinaro dal 1975 al 1979.
«Mio padre era del 1939 ed è entrato nel mondo del remo perché spintovi dalla passione di mio nonno Sandrino, talmente tifoso dell’Ovo Sodo che, dopo la prima vittoria dei colori bianco-gialli nel Palio a 10 (era il 1984 e al timone c’era Uccellino Marconcini), disse “Ora posso anche morire”. “Ci chiamarono – ha iniziato a raccontare Ivano Lucchesi – quando mollò Cesare Liperini. Era finito il tempo dell’Enal e delle Consulte Popolari e ancora non esisteva un assessore allo sport. Chiamarono me e Gino che, in pratica, mi costrinse a condividere con lui questa avventura. Ci consegnarono una borsa con dentro tre o quattro fogli e ci dissero che avevamo debiti con i creditori per circa sei milioni e mezzo. Per fortuna ci diedero un aiuto di persone del calibro di Pecchio e di Walter Cioni. Così io e Gino riuscimmo a ricostruire un’unità d’intenti fra le cantine spostando proprio lì le nostre riunioni. Quelli erano i tempi in cui era facilissimo che si verificassero risse fra gli opposti schieramenti e proprio Pecchio faceva addirittura il giro delle mura per non passare dal Pontino. Demmo vita anche a modifiche del percorso di gara riducendone la lunghezza e introducendo l’innovazione delle boe di gomma. Poi riuscimmo, per permettere alla gente di vedere al meglio la gara, a far si che l’amministrazione ci fornisse delle strutture a tubolari per fare le gradinate; peccato che poi ce le abbiano pian pian riportate via e le abbiano riposizionate nei vari campetti di calcio o di rugby».
«Gino era un grande organizzatore e attraverso Radio Flash riuscì a trovare anche i primi sponsor che fornivano cappellini e magliette con i colori di tutte le sezioni nautiche. Possiamo tranquillamente dire che era un vero e proprio factotum del Palio e godeva della stima sia dell’amministrazione comunale che dei dirigenti delle cantine perché pur essendo un tifoso dell’Ovo Sodo (nei nove minuti della gara tornava ad esserlo a tempo pieno) era assolutamente imparziale e come presidente della Commissione Tecnica non guardava in faccia a nessuno. Era più facile che litigasse con quelli del suo rione che con gli altri, ma non ebbe pietà con chi usava artifizi non consentiti nel tentativo di migliorare le prestazioni della propria barca: dalle derive sotto la chiglia ai timoni allungati, dai pagliolini dei timonieri tolti, ai remi riempiti di piombo per avere maggior equilibrio».
«Ma c’era anche chi limava la prua, chi alleggeriva il fasciame, e poi lo riempiva di piombo regolarmente scaricato prima della gara. Lui, con il suo Apino, era al servizio di tutti tanto da effettuare gratuitamente, come idraulico, qualsiasi riparazione nelle cantine, ma guai a sgarrare con le barche. Non te ne lasciava passare una».
«Era nato in via della Coroncina, nel bel mezzo del rione Mercato ed amava i colori bianco-gialli. Ritenendo però che la zona a nord fosse poco rappresentata assieme a Cicalino Bubu demmo vita ad una nuova sezione, quella del Magenta Origine. Allora io ero presidente della Circoscrizione 5 e Gino un consigliere. Vi era però il problema di trovare una sede. Scegliemmo i vespasiani in disuso di Piazza della Repubblica. Sfondammo una delle finestre che era murata e versammo all’interno due taniche di formalina. Richiudemmo il tutto ed un mese dopo riaprimmo la porta. Non vi dico le polemiche che la nostra azione suscitò».
«Vi era poi il problema – ha continuato Lucchesi – di trovare una sede del Palio. Alla Fortezza Nuova c’era, semi-abbandonata e fatiscente, la palafitta del Nautico Cappellini dove tenevano le gozzette per insegnare a vogare agli allievi. La chiedemmo e il Nautico ce la concesse a condizione di consegnarla a me come persona fisica; ad un altro ente non potevano darla. Pecchio, che di mestiere recuperava legname nell’area portuale, ci fornì la materia prima per rifare il pavimento. Riuscimmo così ad allestire una sede, ma a quel punto ci mancava dove ricoverare le barche. Trovammo quello che faceva al caso nostro alla Fortezza Nuova e ad occuparsi di tutto ci pensò Bruno Niccoletti (Mattana).
«Vedi – ha aggiunto Sergio Marconi – lo spirito di Benetti era identico a quello dell’Ovo Sodo. Si viene qui perché ci si trova bene ed oggi lui, che ha voluto essere sepolto in mare, ai margini di quel campo di regata che ha tanto amato, sarebbe veramente sconvolto sapendo che a fine maggio la sezione dovrà lasciare la sua sede storica perché non c’è più nessuno che aiuta il gruppo dirigente a sostenere le spese dell’affitto. Abbiamo dovuto rinunciare al Memorial Lubrani, che era la nostra gara, e adesso rischiamo addirittura di non poter partecipare al Palio se non troviamo un rimedio».
«Venire qui alla sezione – ha detto il figlio Massimo – era un piacere sia per mio nonno che per mio padre, ma anche per me. Gino sperava d’istillare questa sua passione anche ai quattro nipoti».«Erano la sua gioia» – ha aggiunto ancora Ivano – ricordo che l’anno scorso passò davanti alla mia sdraio ai bagni Fiume e mi disse: «Ivano siamo a otto» E io: “Di che cosa?” «Di gelati per i miei nipoti».
Articolo di Alberto Gavazzeni.