Alberto Disgraziati
Il duellante
La storia di Alberto Disgraziati, per certi versi, è simile a quella di Giampiero Biscottino. Anche lui è stato prelevato direttamente da una barca di pescatori, anche lui è stato un grande protagonista della scia, ma non ha mai cambiato rione. Pontino dall’inizio alla fine della sua avventura remiera. Prima come alfiere della scia, poi come timoniere del gozzo a dieci. E qui i ricordi e gli aneddoti sono davvero tanti.
Con la cantina del Pontino Disgraziati ha mantenuto un forte legame, non fosse altro per la sua barca che è piazzata proprio sugli scali delle Cantine, a pochi metri dalla sezione nautica giallorossa. Non c’è nome più azzeccato, per battezzare quel motoscafo: “Grinta”. E’ lui il vogatore più medagliato del Palio Marinaro, lui che detiene il maggior numero di vittorie alla scia, ben dieci.
Anche Disgraziati, che ha mantenuto un fisico asciutto e invidiabile a dispetto dei suoi cinquant’anni passati, punta subito il dito sul diverso ritmo di allenamenti, sulla diversa quantità di lavoro. «Oggi i ragazzi si allenano dodici mesi all’anno, seguendo tabelle da atleti veri. Siamo a livelli che sfiorano il professionismo. Noi eravamo tutta un’altra cosa. Figuriamoci che le barche venivano consegnate a luglio e il Palio c’era a metà agosto. Al massimo ci si allenava un mese. E poi con quali criteri, tutti diversi da ora. Senza alcuna certezza scientifica, senza gli allenatori federali che oggi circolano nelle cantine». Ma il suo pezzetto di storia del Palio Disgraziati l’ha davvero scritto.
Era invincibile nella scia: «Non ho mai perso una gara alla scia, neanche contro Biscottino». Ecco che spunta la rivalità. Ma che rapporti c’erano, fra gli eterni duellanti? «L’ho sempre battuto – afferma Disgraziati – ma al di là di questo, nient’altro. Eravamo entrambi pescatori, fuori dalla gara non c’era alcun problema fra noi. E come spesso succede, anche questa rivalità è stata costruita, magari nella fantasia della gente, dei tifosi che in quegli anni erano un po’ più agitati di ora».
Già, perché più agitati? «Mah, forse perché c’erano meno divertimenti, forse perché in quegli anni i livornesi aspettavano il mese di agosto per sfogare tutto il loro calore nel Palio Marinaro. Ecco perché si dice che il Palio era sentito di più». C’è chi dice che il Palio è un patrimonio che si perde. E’ d’accordo? «No. Ormai il Palio Marinaro è qualcosa che appartiene ai livornesi, che molti livornesi sentono dentro di loro. Non finirà mai. Anche perché vedo che, in questi anni, è stata rispolverata, ad esempio, la tradizione dei fuochi d’artificio dopo la premiazione. E’ la strada giusta per rilanciare il Palio».
«Un altro modo sarebbe quello di reintrodurre anche la scia, che era una gara davvero entusiasmante. Io sarei il primo a sottoscrivere il ritorno della scia». Ma quali erano la caratteristiche che facevano di un atleta un ottimo elemento per la scia? «Si trattava sostanzialmente di una gara nella quale la forza era l’ingrediente principale. Ma c’era un altro elemento, che non si doveva sottovalutare, ed era la capacità di tenere la barca in equilibrio, di saper stare in mare, insomma. Ed è qui che, io e Biscottino, eravamo nettamente migliori, rispetto agli altri, proprio per un fattore di esperienza quotidiana. Chi doveva vivere con la pesca, col tempo, imparava a governare una barchetta da solo».
Poi la scia finì. Ed iniziò l’esperienza da timoniere… «No, quella la cominciai mentre facevo la scia. C’era l’esigenza di trovare un timoniere capace per fare la Coppa Barontini e la cantina scelse me. Ne vinsi cinque di seguito, di Barontini, cosicché decisero anche di farmi correre il Palio» Andiamo con ordine. Quante polemiche, per lo stile di timoniere… «C’era una particolarità: io allo stesso tempo governavo il gozzo e vogavo insieme ai primi remi. E il biagio del timone lo tenevo… insieme ai glutei. Poi cercarono di rimettere rimedio a questo, giusto per scoraggiarmi, e vollero accorciare il biagio del timone. Ma niente da fare. Anche qui riuscii ad aggirare questo ostacolo, perché a quel punto il timone lo tenevo con una gamba, allungandomi con le braccia protese verso i capivoga. Sempre per dare una mano ai ragazzi che spingevano sui remi”.
Ma in un Palio Marinaro il Pontino fu anche squalificato, per colpa di questo stile un po’ strano, per l’epoca. Almeno, questo scrivono le cronache. Perché non ce lo racconta? «Era il 1975, e il Palio fu rinviato per il maltempo per molte settimane. Finché, in settembre, non si decise di farlo disputare allo Scolmatore, uno scenario un po’ atipico per il Palio. Sapevamo tutti che aiutare i capivoga era proibito dal regolamento, anche perché gli organizzatori furono espliciti e lo dissero subito, a noi timonieri. Ma in molti ci facemmo prendere dalla foga, dall’entusiasmo, dalla voglia di vincere. Che quando sei in barca è più forte di ogni elemento razionale. E così ci squalificarono, noi, il Borgo e il Venezia».
«Aveva vinto il Borgo, ma la vittoria andò all’Ardenza. Solo qualche anno dopo, anche gli organizzatori tolsero questo divieto, perché anche il timoniere veniva considerato un atleta, come tutti i vogatori. Se solo fossimo arrivati qualche anno dopo, tutte quelle polemiche non ci sarebbero state». Torniamo per un attimo alla scia. Anche nell’era Disgraziati, però, Biscottino vinse una gara… «Ma io non c’ero. Decisi di non correre, quell’anno, allenando Fulvio Pacitto, che fece la scia per il Pontino. Ma Biscottino vinse e alla fine venne da me per dire che quell’anno mi avrebbe battuto e che mi ero ritirato per paura. Allora tornai l’anno dopo e vinsi nuovamente”.
E in mezzo a tutte quelle polemiche, non è che, magari a volte, ci fu chi provò a sperimentare qualche trucco per andare più forte? «Succedeva quasi sempre, ma sulle imbarcazioni non c’erano le verifiche puntuali e precise come avviene ora. C’era meno sport, forse, nell’ambiente del Palio, e maggiori astuzie, di ogni genere. L’importante era vincere, con qualsiasi mezzo, non partecipare. E allora, quando noi, quando il Venezia, cercavamo magari di migliorare la barca. Basta pensare che ogni anno c’erano sempre due o tre reclami. Quasi mai poi venivano accolti, ma il sospetto che i vincitori avessero trovato qualche stratagemma non consentito c’era sempre. Non come ora, insomma».
Negli anni di Disgraziati timoniere spuntò anche un soprannome fra i ragazzi che sostenevano il Pontino. Quale? «E’ vero. C’era chi mi chiamava Sandokan. Chissà, forse per il mio fisico prestante, forse per la mia barba. Da poco tempo avevano trasmesso lo sceneggiato in tv e nella fantasia dei ragazzini c’era ancora l’eroe di Salgari. Ma con Sandokan io non c’entravo davvero per nulla, se non per l’aspetto fisico».
Disgraziati ha vinto tante volte alla scia. E sul gozzo a dieci del Pontino San Marco, quante vittorie ha ottenuto nel Palio Marinaro? «Neanche una. E’ stata la mia maledizione, non sono mai riuscito a vincere un Palio a dieci. Ho collezionato una serie infinita di secondi posti, ma neanche una vittoria. E pensare che una volta ci eravamo andati davvero vicini, se solo avessero squalificato il Borgo… Beh, diciamolo, i bianconeri non avevano girato la boa, ma nessuno tolse loro la vittoria. E noi ci siamo dovuti accontentare del secondo posto, per l’ennesima volta. Pazienza».
L’ultima apparizione di Alberto Disgraziati su un gozzo a dieci risale al 1983. Che cosa è successo dopo? «Intanto partiamo da cosa è successo nell’83. Vincemmo alla grande la Coppa Risi’atori, poi un paio di settimane dopo, incredibile ma vero, perdemmo il Palio. Non nel senso che arrivammo terzi o quarti, ma proprio ultimi, battuti dal Quercianella, nella volata per salvare il gozzo. Retrocedemmo a quattro, è uno smacco incredibile». Ma come è possibile perdere il gozzo due settimane dopo una vittoria? «Problemi a bordo. Problemi non sportivi, ma di rapporti. Ci fu uno scontro, una litigata fra i componenti dell’equipaggio. Quando sul gozzo si rompe l’armonia, può succedere di tutto. E guardate che cosa è successo undici anni fa. Non dico che eravamo i migliori in assoluto, ma neanche un equipaggio da perdere il gozzo. E invece pensate, fummo battuti dal Quercianella negli ultimi metri».
Quella retrocessione fu l’addio di Disgraziati al Palio? «Si, perché pensai che su un gozzo a dieci era preferibile piazzare un timoniere più leggero rispetto a me. Da quel momento ho abbandonato la sezione nautica, non mi sono più impegnato direttamente, anche se ho avuto molte richieste da svariati rioni. Ma la mia risposta è stata sempre la stessa: sono nato sul Pontino, ho sempre corso in giallorosso e mai cambierò rione, allora preferisco smettere».
E un ritorno sul Pontino? Non proponibile? «Direi di no. Ci vuole grande sacrificio, ora, per portare avanti una stagione. E poi hanno trovato ottimi elementi. Prendiamo il timoniere. Luca Ondini un ragazzo molto valido, in grado di svolgere il suo compito molto bene. Sono sicuro che a al Palio si faranno valere, secondo me sono i favoriti principali per la vittoria. Ci sarò anch’io al Palio, lungo il campo di regata, sulla mia barca. Così come ho fatto per la Risi’atori, che ho visto dal mare, e per la Barontini di cui ho seguito la partenza e l’arrivo. Naturalmente a tifare per il Pontino».
Articolo di Luciano De Majo 1994