Alberto "Yoghi" Lemmi
54 anni passati con il San Marco Pontino
Lo puoi trovare al bar all’angolo tra gli scali del Pontino e via Castelli dove, Alberto Lemmi, scherzosamente chiamato “Il Sindaco del Rione“, si sofferma una mezz’oretta la mattina, per fare colazione e qualche chiacchiera con i vecchi amici. Fu lui, in quel bar, che mi dette importanti informazioni quando scrissi la storia dei giallo-rossi tutt’ora leggibile nel loro sito. Chi, meglio del nostro personaggio, con i suoi 54 anni trascorsi in cantina del “suo” Pontino, poteva aiutare il sottoscritto nella ricerca della storia di un Rione così importante?
Una mattina, lo trovai con una busta piena di fotografie di quando giocava al calcio: «Sono foto che devo portare ad un amico per ricordare i vecchi tempi. – mi disse Alberto – Ho giocato nel Pescia, Rosignano, Pordenone e in molte altre squadre e quando ero soldato feci parte della Nazionale Militare per non parlare delle selezioni che feci nella Juventus. Giocavo come ala ed amavo il calcio, una passione che trasmisi anche in cantina, dove nacque la squadra del bar Russo di piazza Garibaldi. Ho giocato al calcio, naturalmente a livello amatoriale, fino a 38 anni».
Alberto Lemmi, nato a Livorno il 14 giugno del 1935, entrò a far parte della cantina giallo-rossa nel 1954 ad appena quattro anni dalla sua fondazione e, assieme al calcio amava il Pontino San Marco. «Avevo appena 19 anni quando entrai a far parte della “famiglia” del Pontino. Mi ricordo del primo presidente che fu Vasco Lomi e nella dirigenza facevano parte calibri da novanta come: Walter Cioni, Mario Cecchi, Bruno Mencacci e molti altri ancora, compreso Giovanni Persico detto il Moro che fu allenatore e timoniere. Cominciai a dare una mano come potevo e, quando mancava qualche vogatore, il Moro mi faceva vogare al suo posto nel dieci remi durante gli allenamenti. Pian piano, dopo aver fatto anche da cantiniere, passai dirigente della Sezione Nautica. Finito il lavoro, lavoravo sul porto, mi presentavo in cantina tutti i giorni. La sezione nautica diventò per me la mia seconda famiglia».
Cosa ti è rimasto impresso, gli domando, in tutti quegli anni? «Tante, tantissime cose – risponde Alberto – ma ricordo volentieri quando, nel 1960, corsi la gara alla scia. Devi sapere che Ivano Tuccoli, che ci doveva rappresentare in quella gara, si sposò e prese la residenza a San Jacopo, ora non mi ricordo il perché, ma venimmo a sapere della sua squalifica il giorno stesso del Palio. Il Moro ci disse che il Pontino non voleva rinunciare a quella gara e scelse me per quella regata. In verità ti dico che non ero mai montato su quella imbarcazione e sapevo appena i rudimenti di quella voga. Ma Partecipai. C’erano dei mostri sacri in quell’anno come: Biscottino, Catanzano, Laucci, Manguso e altri. Per me, già terminare la corsa sarebbe stata una vittoria e ce la feci. Mi classificai all’ultimo posto e, alcune cronache cittadine scrissero, erroneamente, che arrivai terzo».
Perché ti hanno affibbiato il soprannome di Yoghi? «In quegli anni era in voga il famoso personaggio dei cartoni animati rappresentante un orso, appunto l’orso Yoghi. In cantina, alcuni vogatori, forse per il mio fisico, dissero che gli assomigliavo e cominciarono a chiamarmi Yoghi». Raccontami un aneddoto. «Un fatto curioso, non senza polemiche e liti, accadde nel 1971. Era l’ultimo anno che si sorteggiavano i gozzi. Il nostro andò al Colline, con grande dispiacere di tutti noi, perché quella barca la consideravamo nostra. Allora tutte le cantine, chi più chi meno, facevano alcune modifiche ai propri gozzi. Noi le facemmo fare dai maestri d’ascia della ditta Cioli, se non vado errato, che si trovava nei pressi dei bagni “Trotta”. Con quella barca il Colline si classificò al terzo posto nel Palio e noi solamente quinti. La cosa ci bruciava ancora, quel gozzo ci apparteneva».
«Alcuni giorni prima della Barontini, in pieno giorno alle 14,00, io, Bruno Frangini e Vinicio Lemmi, decidemmo di andare a riprenderci il nostro dieci remi che era ormeggiato dove adesso c’è la cantina del Palio Marinaro e a remi lo portammo nei nostri locali. Fortuna volle che non ci vide nessuno. Alcune ore più tardi, vedemmo arrivare quelli del Colline a reclamare l’imbarcazione che nel frattempo, dopo averla tirata su a terra, la chiudemmo, con tanto di “lucchettoni”, dentro la nostra cantina. Scoppiò una lite furibonda fra noi e loro e solo per un “pelo” non degenerò in rissa».
« La Coppa Barontini non si svolse, appunto per questo fatto, che fece scalpore. Se ci penso adesso mi viene da ridere ma ai tempi fu una cosa maledettamente seria, quando il Palio era sentito veramente. Questo fatto – continua Alberto – fu l’ultima goccia che fece traboccare il vaso. Il Comune si decise, una volta per tutte, di far costruire otto gozzi, tutti dello stesso peso, per togliere definitivamente queste polemiche che duravano fin dal primo Palio della ripresa. Non a caso, le gare non si disputarono neanche nel 1972 per dare tempo alla costruzione delle nuove imbarcazioni».
Nei tuoi 54 anni vissuti in cantina – gli chiedo – quanti vogatori e timonieri hai visto passare? «E’ una domanda da un milione di dollari – risponde Alberto – ma certamente qualche centinaia, a cominciare da quelli che hanno fatto la storia come: Vincenzo Raveggi, Elio Langella detto “Ghighe”, Giancarlo Mataresi, Giovanni Persico, Giorgio Sonetti, Ivano Bitossi, Giuliano Mancini e tanti tanti altri». Il vogatore che più di tutti ti ha colpito. «Ce ne sono stati veramente tanti ma mi ricordo di Marco Burresi. Era un capovoga come pochi, ragionava con la testa ed era un piacere vederlo vogare, mentre come timoniere ho sempre ammirato, oltre a Ghighe, Luca Ondini».
Una delle cose che vai orgoglioso. «Di essere stati noi, per primi, ad avere portato il remoergometro nelle cantine livornesi, alla fine degli anni ’80, oltre a diverse innovazioni della voga. Fu grazie a Davide Panicucci che acquistammo a Como i primi remoergometri in assoluto. Pensa che Davide, portò anche i primi computer che servivano specialmente negli allenamenti in cantina. Le altre cantine, vedendo le nostre innovazioni di voga, ci spiavano con le telecamere durante gli allenamenti in barca».
Alberto Lemmi è sempre stato un dirigente battagliero e fiero, amato e rispettato a tal punto, che gli fu dedicata una gara a tempo per gozzette a quattro remi, corsa esclusivamente da vogatori giallo-rossi: la Coppa Yoghi. Anche un sito del Pontino porta il suo soprannome. Nel suo mezzo secolo e passa, Alberto ha condiviso gioie e dolori con la sua sezione nautica: trittici, vittorie, posti da podio e retrocessioni. Anche negli anni più bui del Pontino, ha saputo, assieme agli altri dirigenti, tirare su la testa per lottare, fino in fondo, contro avversità e sfortune e, in certe occasioni, per riportare serenità e pace, in certe accanite polemiche intestine.
Nel 2008 decide di abbandonare la cantina per incomprensioni con il nuovo presidente che era Learco Lucarelli. Insieme ad Alberto daranno le loro dimissioni: Daniele Lorenzi, Giancarlo Mariotti e Mario Fraschi. Yoghi lascia con un curriculum impressionante di vittorie: 8 Palii, 5 coppe Risiatori, 15 coppe Barontini, 3coppe Santa Giulia, 1 Palio dell’Antenna, 2 trofei G. D’Alesio, 1 coppa G. Lubrani. 4 remi: 2 Palii, 2 coppe Risiatori, 3 coppe Edda Fagni, 1 trofeo G. D’Alesio, 2 coppe Moby Prine, 3 coppe di Natale e 1 Memorial Andolfi.
Saputo delle dimissioni di Alberto, alcune grandi cantine hanno contattato l’ex dirigente per averlo nelle loro fila ma Yoghi, molto garbatamente, le ha sempre rifiutate. «Il mio cuore rimarrà sempre giallo-rosso e non lo tradirei mai». Il nostro personaggio attualmente si dedica, insieme al famoso Giorgio Sonetti, a organizzare “Scuole in Barca”, gara a cronometro degli Istituti Superiori cittadini, organizzata dalla sezione nautica di Shangy-Torretta.
Articolo di Carlo Braccini