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Dino Lorenzini nelle parole del figlio Angiolo: Mio padre, lo ricordo così

Coppa Lorenzini perché? Prima di tutto per ricordare un uomo. Un vero sportivo, capace di rimboccarsi le maniche insieme ad altri volenterosi fino a giungere alla “ripresa” del Palio Marinaro e, con esso, di tutte quelle tradizioni popolari che la guerra, impietosa, si era portata via. Lui, invece, Dino Lorenzini, fu portato via all’affetto dei propri cari e di tutti coloro che lo conoscevano, un giorno di tredici anni fa.

Aveva 67 anni, molti dei quali accompagnati da una passione smisurata per le gare remiere, per la storia della propria città. Livornese doc, infaticabile sostenitore del Venezia, Lorenzini ci viene ricordato dal figlio Angiolo, anch’egli impegnatissimo a dirigere la sezione nautica più blasonata della città, quella del Venezia, degno erede del grande Dino. «Come lo ricordo? Come uno sportivo, che si dava tanto da fare per il Venezia e per il Palio. Era una passione che aveva nel sangue, non si poteva spiegarla, non c’erano ragioni logiche. Lui era così: amava il Palio, amava il suo Rione, per questo si è impegnato a fondo, nelle primissime riunioni del comitato organizzatore, del quale è stato un componente di assoluto rilievo».

Angiolo Lorenzini ha quarantatré anni. È nato nel 1951. Praticamente, insieme al Palio Marinaro della ripresa, il primo Palio disputatosi nel dopoguerra. Vinto immancabilmente da quel Venezia pigliatutto che non aveva avversari in grado di contrastarlo. Una coincidenza curiosa, che fa tornare alla mente l’euforia che i vecchi dirigenti veneziani ricordano volentieri. Ma a quei tempi, come si viveva la vigilia del Palio? «Era sentita incredibilmente – afferma Lorenzini – e non solo da mio padre. Anche mia madre è una veneziana purosangue. È una Pedani: i suoi fratelli vogavano sull’Andrea Sgarallino, e ora altri Pedani sono nostri vogatori. È una tradizione che si trasmette, di padre in figlio, di generazione in generazione. Detto questo, è davvero facile immaginare il clima degli anni passati, più denso di passione e di entusiasmo».

Ci sono degli episodi particolari da segnalare, magari aneddoti? «Ne ricordo uno in particolare. Un fratello di mia madre, mio zio Oberdan Pedani, costituiva un’eccezione, perché vogava nell’Ovo Sodo. Riuscì a convincere mio fratello maggiore, Rossano, a tifare per lui. E siccome il giorno del Palio, noi ragazzi andavamo vestiti con i colori del Rione, lui rifiutò il rosso e il bianco e si vestì di bianco e di giallo. Non vi dico mio padre, che non era certo soddisfatto – “Ma che figura mi fai fare?” – Ripeteva a mio fratello».

Una divisione in famiglia che è rimasta a lungo? «Ma no, figuriamoci. È stato un peccato di gioventù. Rossano ora è diventato uno sfegatato sostenitore del Venezia, come tutta la nostra famiglia». Ricordare Dino Lorenzini con una gara a lui intitolata. Come è venuta questa idea? «È stato un gruppo di portuali ad avanzare questa proposta. Mio padre è stato portuale, dirigente della CLP. L’idea fu giudicata buona, fu accolta dalla Circoscrizione 3, che la organizzò per il primo anno insieme alla Compagnia lavoratori portuali e al circolo ricreativo».

E la reazione della vostra famiglia come fu? «Non ci siamo opposti, ma neanche siamo stati i diretti promotori dell’iniziativa. Chi conosceva mio padre può dire che era un uomo schivo, riservato, a cui non piaceva apparire in pubblico, salire alla ribalta, in tutto ciò che faceva. Ha organizzato iniziative benefiche nei confronti degli ammalati, degli anziani che stavano negli ospizi, ma senza voler raccogliere gli applausi e i lustrini».

Ora la Coppa Lorenzini è anteprima della Barontini. E’ una iniziativa buona? «Credo proprio di si. Ormai è una manifestazione entrata a pieno titolo nella stagione remiera e non è poco. Ed è anche il modo migliore per ricordare mio padre, che è stato fra i promotori della Coppa Barontini».”

Questa intervista fu fatta da Luciano De Majo in occasione della ventisettesima Barontini del 1994

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